Ruggero Deodato, la potenza del sangue del cinema di “Monsieur Cannibal”

 di Valerio Monacò

a cura della redazione di Edizioni NPE

 

Il volto era direttamente in linea con la pianta e sotto non avrebbe dovuto esserci un tronco ma il corpo dell’uomo, che invece mancava: la testa mozza era appesa al ramo per i lunghi capelli neri.

Robert E. Howard (1906-1936)

Parte dal 1964 la carriera di Ruggero Deodato (Potenza, 1939), e precisamente da un bizzarro adattamento, tra il mitologico e l’horror, de Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde di Robert Louis Stevenson, supervisionato da Antonio Margheriti: Ursus, il terrore dei Kirghisi. Ma non è Ursus (Reg Park) il mostro spietato che compie stragi notturne, bensì una regina di nome Aniko (Mireille Granelli) che a causa di un filtro magico si trasforma in una belva sanguinaria. Realizzato con poco, il sangue che scorrerà a fiumi nei lavori successivi è già qui un riflesso nello specchio, una vena scoppiata nella visione di un giovane regista che sa di essere fuori dagli schemi.

Poi si nasconde, indossa una maschera e Deodato, lucano trapiantato giovanissimo a Roma, firma le sue regie con il nome di Roger Rockfeller: la sua è la storia di un’altra maschera, quella di Tutankamen, esposta in un museo di Parigi: Fenomenal e il tesoro di Tutankamen. Qui il misterioso eroe Fenomenal (Mauro Nicola Parenti) vigilerà su un tesoro che fa gola a molti. Un piccolo omaggio ai fumetti in voga in quegli anni con un protagonista che riesce a vedere pur indossando un passamontagna senza buchi per gli occhi. Fra incessanti vedute turistiche, zoom, Maurizio Merli senza baffi e Bruno Nicolai che accompagna l’entrata in scena di Fenomenal con il suo inconfondibile stile, in quel 1968 c’è anche il tempo per assistere alla parata di Charles De Gaulle sugli ChampsÉlysées…

 

1968: è ancora Roger Rockfeller a firmare una regia: Gungala la pantera nuda. E nuda lo è per davvero Kitty Swan, che corre per la savana, anche se purtroppo non è molto quel che si vede!

Deodato riprende il suo vero nome e in quell’impegnatissimo ’68 si concede una pausa: Vacanze sulla Costa Smeralda. A viaggiare con lui il Re (italiano) Little Tony che si esibisce con l’hit Cuore Matto, Silvia Dionisio e Ferruccio Amendola. La pellicola è ricca di tutti gli elementi tipici dei musicarelli, di vedute turistiche e bellezze varie ed assortite non troppo discinte.

Nel 1869, all’inizio della presidenza di Ulysses S. Grant, la First Transcontinental Railroad venne completata. Fu una svolta. Esattamente 100 anni dopo Deodato approda al genere western con una parodia: I Quattro del Pater Noster, con l’aiuto di Paolo Villaggio, Enrico Montesano, Lino Toffolo e Oreste Lionello, alle prese con un bottino da recuperare ed evasioni di prigione. “Mister Cannibal” non era ancora nato…

Tra il ’69 e il ’73 firma due serie televisive RAI: Il Triangolo Rosso e l’adrenalinica All’ultimo minuto, dove in ciascun episodio una o più persone si trovano intrappolate in situazioni apparentemente senza soluzione.

Nel mezzo del cammin di queste due serie: Zenabel. Nel 1966 Renzo Barbieri e Giorgio Cavedon ai testi e Sandro Angiolini ai disegni, crearono la serie a fumetti di genere erotico/avventuroso Isabella, edita dalla storica Ediperiodici. Il regista guarda a quelle atmosfere osé e imbastisce una trama che vede la bella Zenabel (Lucretia Love/Anna Morganti), legittima erede del duca di Vallestretta, spodestato dall’usurpatore interpretato dall’allora famoso John Ireland, andare alla riconquista di ciò che gli spetta di diritto e aiutata da un’armata di poco gentil donzelle. Nel cast anche il grandissimo Lionel Stander. Le musiche sono ancora una volta di Bruno Nicolai e Deodato si diverte con inquadrature sghembe, improvvise accelerazioni, balloon e una regia davvero ricca di trovate.

Anno 1975. Deodato decide di dare un piccolo assaggio delle sue ossessioni future, la vittima sarà una murena in Ondata di piacere. Un ricco arrogante (John Steiner) e la sua sottomessa amante (Elisabeth Turner) ospitano sul loro yacht una coppia conosciuta a Cefalù (Al Cliver/Pier Luigi Conti e la bellissima Silvia Dionisio). Con un budget ridotto all’osso il regista spoglia la sua moglie dell’epoca (Dionisio) e allude a scambi di coppie e giochi al massacro degni di un Polanski italiano. Tra i soggettisti figura Lamberto Bava, figliol non proprio prodigo del grande Mario.

Ruggero Deodato Vs. Censura, atto primo

Uomini si nasce poliziotti si muore. È del 1976 il primo scontro tra Deodato e la censura, che decide di sforbiciare il suo poliziesco girato con una classe enorme e almeno una sequenza da antologia degna di un Peckinpah, un Friedkin o un John Woo, quella dell’inseguimento iniziale in moto. Non è un caso che il film sia stato scritto da Fernando Di Leo. Due poliziotti (Marc Porel e Ray Lovelock), novelli Kenneth Bianchi e Angelo Buono, uccidono delinquenti senza nessuna pietà. Godono anche di un superiore che li copre, l’immenso Adolfo Celi. Nel cast anche Renato Salvatori. Non c’è nessun eroismo e non ci sono buoni né cattivi, ma solo un cinismo senza speranza, in uno dei polizieschi più cupi e violenti dell’epoca.

Trilogia Cannibale Atto I

Un avventuriero di nome Harper (Massimo Foschi, allievo di Luca Ronconi) si spinge nel profondo della giungla filippina e viene catturato da una tribù che pratica il cannibalismo. Saprà conquistarsi il rispetto dei selvaggi mangiando il cuore di uno di loro. Nel 1977 va in scena il primo atto: Ultimo mondo cannibale, di una sorta di trilogia che proseguirà con Cannibal Holocaust e Inferno in diretta. È su queste insanguinate pellicole che Deodato costruirà la sua fama, servendo sempre pietanze che rispettano un codice tecnico ben preciso (quasi un cinema Dogma ante litteram), come le riprese semidocumentaristiche, la giungla (qualunque essa sia), gli eccessi splatter, le crudeltà degli e sugli animali e l’imbarbarimento dell’uomo occidentale e la sua influenza sul mondo selvaggio. Il sangue inizia a scorrere a fiumi.

In contemporanea con Airport ’80 di David Lowell Rich (interpretato tra gli altri da Alain Delon) Ruggero Deodato, sulla scia del filone catastrofico inaugurato nel 1970 da Airport di George Seaton, gira Concorde Affaire ’79: la Universal non mancò di minacciare una causa (forse perché ha incassato molto meno del film italiano, pur girato con un budget irrisorio). La storia parte semplice, ed è quella di un giornalista (James Franciscus) che va in Sudamerica per rintracciare la moglie scomparsa.

Trilogia Cannibale Atto II

1980. La Potenza del sangue o di come si arrivò alla follia di: Cannibal Holocaust… L’antropologo Harold Monroe (Robert Kerman, protagonista anche di alcuni film porno diretti da Gerard Damiano) viene incaricato di mettersi sulle tracce di quattro reporter americani (Luca Barbareschi, Francesca Ciardi, Gabriel Yorke e Perry Pirkanen) scomparsi nell’immensa foresta amazzonica. Dal ritrovamento del film da loro girato si scopre che dopo aver commesso ogni sorta di atrocità, sono stati uccisi e mangiati dagli indigeni del posto. La trama è tutta qui. Il resto è leggenda. Cannibal Holocaust è una pellicola sgradevole, estrema (oggi si direbbe politicamente scorretta), e molto calcolata. L’espediente del film nel film, una sorta di finto snuff – vale la pena di ricordare che ha anticipato di un ventennio pellicole come The Blair Witch Project e sarebbe un ottimo esercizio immaginare come sarebbe stata pubblicizzata oggi con tutte le nuove tecnologie a disposizione – la violenza insostenibile mostrata con orgoglio e la telecamera che non indietreggia di fronte a nessuna nefandezza costituiscono una precisa analisi del periodo storico e cinematografico (con il sottogenere dei mondo movie, derivanti dal documentario e dall’exploitation analizzato alla lente d’ingrandimento, discusso, amato, odiato, ripudiato).

Cannibal Holocaust è la pietra tombale del genere, con i cameraman che decidono di non fuggire, pur di riprendere l’orrore che sta divorando i loro colleghi. Fino ad arrivare forse a vergognarsi di essere umani. Fino ad interrogarsi su quale sia il perimetro che divide la civiltà del mondo cannibale. Le interazioni sociali, sfuggire alla fame e al freddo. La civiltà, sembra dirci Cannibal Holocaust, è un dispositivo di sicurezza che abbiamo inventato per proteggerci dall’orrore, la meravigliosa illusione in cui vogliamo vivere, l’intricato racconto che sosteniamo per non arrenderci alla nostra natura più squallida ed ancestrale.

 

 

All’epoca la pellicola fu sequestrata e condannata (lo stesso Deodato venne condannato a quattro mesi di carcere con la condizionale), rea di essere “opera contraria al buon costume e alla morale”, sollevando unanimi cori di sdegno. Per molto tempo tornò a circolare con alcuni tagli e la sua macabra fama crebbe a dismisura. La Corte di Cassazione riabilitò il film, che dal maggio 1984 tornò in circolo, senza più tagli e nella sua versione originale. Fino ai giorni nostri.

Delle innumerevoli nefandezze, di vero comunque ci sono solo le violenze sugli animali, che anche molti fan del genere trovarono insopportabili. Ma Cannibal Holocaust è inarrestabile, come un virus. Per alcuni anni è stato subdolo, resiliente, e poi ha ritrovato il modo di farsi strada nella cultura cinematografica più estrema, spingendosi fino al confronto con le radici e le sovrastrutture della società.

Ha poi generato una serie infinita di pellicole, dal Cannibal Ferox di Umberto Lenzi ad Apocalypse Domani di Antonio Margheriti (che sposta il tema dell’antropofagia tribale nella giungla metropolitana) fino all’ultima riesumazione ad opera di Eli Roth con il film The Green Inferno. Tutte ispirate al controverso lavoro di Deodato, spesso anche più splatter, ma mai così estreme nel profondo. La vera rivoluzione di Cannibal Holocaust è che sta sempre lì, a ricordarci che non si può vivere in pace, non possiamo trascinarci fuori dalle sue fauci, perché in realtà l’uomo è schiavo della sua stessa natura e una visione delle cose trasognata e idealista può solo distrarci, ma col buio in sala, Cannibal Holocaust tornerà per morderci di nuovo.

Il 1980 non è ancora finito e Deodato decide di girare un’altra pellicola che non salva nessuno: La casa sperduta nel parco. Uno stupratore (David Hess, uno dei protagonisti de L’ultima casa a sinistra di Wes Craven) e il suo amico ritardato (Giovanni Lombardo Radice) vengono invitati in una villa di ricchi per gioco, e seviziano tutti… ma non finisce qui. È uno dei suoi film più sgradevoli, tanto da far negare il visto ai censori inglesi. Le musiche sono di Riz Ortolani e il sangue continua a scorrere a fiumi per consolidare la fama dell’uomo dietro la macchina da presa.

Dopo Roger Rockfeller ecco Roger Franklin… 1983 e Ruggero Deodato gioca ancora col suo nome e porta in sala I predatori di Atlantide, ambientato in una sorta di futuro prossimo distopico sulla scia del Conan di John Milius e uno sguardo a Interceptor e Mad Max di George Miller. Mentre un cataclisma spazza via una piattaforma al largo della Florida e fa riaffiorare l’isola di Atlantide una banda di teppisti in motocicletta semina distruzione.

 

Trilogia Cannibale Atto III

Nel 1985 torna al genere che lo ha reso famoso e famigerato e che lui stesso ha contribuito a codificare e gira l’ultimo atto (una sorta di remake di Cannibal Holocaust) della sua iconica, violenta, disturbante trilogia: Inferno in diretta. Nella Guyana due reporter (Leonard Mann/Leonardo Manzella e Lisa Blount) cercano le tracce del figlio di un miliardario e si imbattono in un seguace del predicatore statunitense Jim Jones (il fondatore della congregazione religiosa chiamata Tempio del Popolo, passato tristemente alle cronache per aver indotto 909 suoi seguaci, tra cui neonati e bambini, ad un atroce suicidio di massa e conseguente massacro a Jonestown). Fedele al principio che bisogna rimanere esposti all’orrore per evitarlo, nella pellicola di Deodato gli orrori della giungla vengono trasmessi in diretta via satellite a New York. Il cast è più ricco della media e vede sfilare volti da galera e ottimi attori come Richard Lynch, Karen Black e Michael Berryman, il protagonista de Le colline hanno gli occhi di Wes Craven, oltre al solito Luca Barbareschi. Le musiche sono dell’ “argentiano” Claudio Simonetti.

 

Maniac e Venerdì 13 diedero inizio al filone slasher… ed erano i primissimi anni ’80. Nel 1986 Deodato massacra una comitiva di ragazzi in vacanza nel Montana. Il film si intitola: Camping del terrore, e tra spogliarelli ed efferatezze varie e le musiche ancora una volta di Simonetti il film scivola via, su una chiazza di sangue denso!

Nel 1988 gli sceneggiatori Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino, tirano fuori dal cassetto un soggetto impolverato che era alla base del mediocre Lo squartatore di New York di Lucio Fulci e consegnano nelle mani di Deodato un giallo dagli echi argentiani: Un delitto poco comune. A Perugia il celebre pianista Robert Dominici (Michael York) è sospettato degli omicidi di alcune giovani donne, l’ispettore Datti (il mitico Donald Pleasence) indaga. Il film si caratterizzerà per l’inedito cinismo con cui viene tratta la malattia genetica di cui soffre il protagonista, la sindrome di Hutchinson-Gilford. Però c’è da dire che Deodato pur non avendo materia di primissima qualità tra le mani, si autodisciplina enormemente, limita gli effetti gore e realizza un prodotto professionale.

 

Dalla fine degli anni ’80 ad oggi collabora ad alcune serie tv: Il Ricatto, Oceano, I ragazzi del muretto e Noi siamo angeli. Nel 2016 ritorna al suo amore per l’horror con il film: Ballad in Blood. La pellicola è ispirata all’omicidio di Meredith Kercher, presentata in anteprima al Lucca Film Festival.

Il suo lavoro ha influenzato registi del calibro di Oliver Stone, Quentin Tarantino ed Eli Roth.

Oggi Ruggero Deodato è uno splendido ottantenne, un regista, un attore e uno sceneggiatore che gode della fama che si è conquistato inventando un genere e guadagnandosi il soprannome di “Monsieur Cannibal”. Beatrice, sua figlia, è solita regalargli per il compleanno disegni che raffigurano la ragazza impalata, un’icona che gli ha portato un’immensa fortuna. Sulla sua scrivania da poco campeggia in bella mostra la ragazza impalata in 3D, sempre regalo di Beatrice, a sancire una continuità arrivata alla seconda generazione, che non si può spezzare. La potenza del sangue. Cannibal Holocaust 2, che puoi acquistare cliccando qui,è la sua prima incursione nel mondo del fumetto.