«Un chien andalou» diventa un fumetto: intervista ad Andrea Cavaletto
Uscito nel 1929, Un chien andalou è tra le più celebri, impressionanti e indecifrabili pellicole mai realizzate. Un cortometraggio tra sogno, delirio e allucinazione nato dall’incontro tra due grandi personalità artistiche: quella del regista Luis Buñuel e del pittore Salvador Dalí. Definirlo surrealista o avanguardista non basterebbe a spiegare il senso di destabilizzazione che provoca nello spettatore.
Scritto e realizzato in appena due settimane sulla scorta delle suggestioni oniriche del regista e del pittore, ha regalato al cinema una delle scene più terrificanti di sempre: un uomo, interpretato dallo stesso Buñuel, taglia in due con un rasoio l’occhio della donna con la quale convive. Una sequenza iconica più volte citata da altre arti, dal cinema stesso alla musica. A firmarne la trasposizione a fumetti è Andrea Cavaletto, già sceneggiatore di Dylan Dog e Martin Mystère, che ci ha raccontato la genesi del progetto.
Come è nata l’idea di questo adattamento?
Quando, da ragazzino, leggendo l’Enciclopedia della Paura allegata ad uno speciale di Dylan Dog, sentii per la prima volta parlare del film e vidi la famosa scena dell’occhio tagliato dal rasoio, ne rimasi morbosamente attratto. Il cortometraggio riuscii a vederlo solo parecchi anni dopo e, nonostante non riuscissi ad afferrarne il senso, mi stregò. Ho sempre cullato l’idea di farne una trasposizione a fumetti. E adesso, grazie a Edizioni NPE, quel sogno è diventato realtà!
In che modo hai strutturato la narrazione?
Ho seguito esattamente la narrazione del film, passo per passo, limitandomi a semplificare alcuni passaggi che sarebbero stati inutili e ripetitivi. Ho quindi visto e rivisto il cortometraggio, studiandone in dettaglio ogni inquadratura. Poi ho fotografato tutte le scene del film, quasi fotogramma per fotogramma (3745 foto). Ho scelto le più rappresentative.
Quali tecniche hai utilizzato per le tavole?
Ho stampato le foto da me selezionate e, con quelle, ho impostato le tavole decidendo i tagli e la composizione che ritenevo migliore. Una volta soddisfatto, le ho impresse su cartoncino con i solventi. Nel passaggio successivo le ho ridisegnate a carboncino. A parte, ho preparato i fondi a colori, sciogliendo foto di riviste con i soliti solventi per ottenere le cromie che desideravo. Al computer, ho unito i fondi alle tavole scansionate e ho proceduto con gli ultimi ritocchi, sovrapponendo anche alcuni livelli delle foto che avevo precedentemente scattato al film durante la proiezione.
Da quanto tempo non ti cimentavi nel disegno?
Il disegno non l’ho mai abbandonato, perché mi piace e mi rilassa. Ogni tanto mi capita di fare una illustrazione per un poster cinematografico o per la cover di un libro o album di qualche metal band, ma erano parecchi anni che non realizzavo un’intera graphic novel. Mi sono divertito. E, anzi, è stato il lavoro che più mi ha aiutato a rilassare la mente nel momento di lockdown, reduce dalla guarigione del covid.
Cosa rappresenta per te il film di Buñuel e Dalí?
Io vi ho letto una sorta di viaggio nella psiche, dove le violente pulsioni erotiche tra maschile e femminile si manifestano in una narrazione freudiana, in cui ogni cosa diventa metafora sessuale. Sono sempre stato attratto dalle opere complesse, astruse, antiborghesi e anticlericali.
Cosa devono aspettarsi i lettori dal volume Un chien andalou?
Spero di essere riuscito a rendere al meglio su carta la decadente bellezza e la poesia eversiva delle visioni immaginifiche presenti nel film, trasmutate in quello stile narrativo particolare che mi contraddistingue.